16:20 Roma, luglio 2025 – Mentre milioni di cittadini italiani fanno i conti con l’inflazione, la precarietà lavorativa e un sistema sanitario sempre più sotto pressione, il governo ha deciso di imboccare una strada che molti definiscono pericolosa e miope: l’aumento vertiginoso delle spese militari, in linea con i nuovi obiettivi fissati dalla NATO. Una scelta che sta sollevando un’ondata di critiche da parte di opposizioni, sindacati, associazioni pacifiste e una larga fetta dell’opinione pubblica.
Durante il vertice NATO dell’Aja, i Paesi membri hanno concordato un nuovo obiettivo: portare le spese militari al 5% del PIL entro il 2035. Per l’Italia, ciò significherebbe passare dagli attuali 33 miliardi di euro a una cifra compresa tra 65 e 70 miliardi annui. Una somma che, secondo molti analisti, rappresenta un vero e proprio “secondo bilancio dello Stato”, con effetti devastanti su altri settori fondamentali.
Il leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, ha duramente criticato la premier Giorgia Meloni: “Firma un impegno da 445 miliardi in dieci anni per le armi, ma si dimentica degli italiani. L’Istat ci dice che fare la spesa è un lusso per molte famiglie, e la pressione fiscale aumenta. Il governo sta sbagliando tutto”.
Secondo il rapporto della campagna Sbilanciamoci!, la Legge di Bilancio 2025 ha aumentato le spese militari del 12%, mentre ha definanziato la sanità pubblica, tagliato i fondi per l’università, azzerato il fondo sociale affitti e ridotto gli investimenti per la transizione ecologica. Una redistribuzione delle risorse che, secondo gli esperti, rischia di compromettere diritti costituzionalmente garantiti come la salute (art. 32), l’istruzione (art. 33-34) e la previdenza sociale (art. 38).
Economisti e giuristi mettono in guardia: l’aumento strutturale delle spese militari non genera un ritorno economico paragonabile a quello degli investimenti in capitale umano o infrastrutture civili. Al contrario, produce un effetto di “crowding out”, ovvero l’esclusione di spese pubbliche più produttive. In un Paese con un debito pubblico elevato e margini fiscali ridotti, ogni euro speso in armamenti è un euro sottratto a scuola, ospedali e servizi sociali.
In risposta a questa deriva, si moltiplicano le iniziative della società civile: petizioni, manifestazioni, appelli al Parlamento. La rete Pace e Disarmo ha lanciato una campagna per chiedere una moratoria sull’aumento delle spese militari e un dibattito parlamentare trasparente. “Non possiamo accettare che si investa nel riarmo mentre milioni di italiani rinunciano a curarsi o a mandare i figli all’università”, affermano i promotori.
Il governo difende la sua scelta parlando di “sicurezza nazionale” e “impegni internazionali”. Ma cresce il numero di cittadini che si chiedono: che senso ha parlare di sicurezza se non possiamo garantire un letto in ospedale, un pasto caldo o un’istruzione dignitosa? La vera sicurezza, dicono in molti, è quella sociale, sanitaria, ambientale. E su questo fronte, l’Italia sembra sempre più disarmata.