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Perché si paga il coperto al ristorante? Il mistero di quella tassa medievale e le scuse più assurde dei titolari: «la facciamo pagare ma non sappiamo il motivo 😂😂



Coperto sì, coperto no. Annosa questione che attraversa a intermittenza il mondo della ristorazione. Ma soprattutto, che cos’è il coperto? Nessuno saprebbe rispondere. È un atto di fede. Infatti, paghiamo in silenzio, riconoscendone l’esistenza e certificando, di conseguenza, la sua legittimità.
A risvegliare il tema, il messaggio caustico di una lettrice, che scrive: «Me li immagino: ma come lo giustifichiamo il coperto a 3,50 se abbiamo la tovaglietta di carta? Facile, affidiamoci alla supercazzola».
Si riferisce a una singolare postilla in calce al menu di Gattò, ristorantino napoletano in via Castel Morrone: «Atmosfera, accoglienza, coperto: 3,50 euro».

Difficile dare torto alla lettrice. Tuttavia, interpelliamo i responsabili.
Risponde divertita Olivia Martinetti, titolare di Gattò (con la gemella Angelica e il socio Nicola Lioia):
«Sì, sì, ha ragione. Dovremmo scrivere coperto e basta. Anzi, fosse per me, lo abolirei del tutto. Lo abbiamo appena abbassato a 3 euro».
Nel corso di questa micro-inchiesta scopriremo che quasi tutti i ristoratori vorrebbero cancellare quella tassa a carico del cliente. E che, però, nessun ristoratore si azzarda a farlo.
Insistiamo: che senso hanno quei 3 euro in un ristorante (buono, per altro) senza tovaglia, con prezzi non proprio popolari (primi 15/18 euro secondi 22/30)?

«È una specie di mancia. Poi, sa, noi offriamo spesso l’amaro a fine pasto…».
Olivia è una ventata di allegria, ma non ci convince. Se l’amaro è offerto, perché dovremmo pagarlo?
In previsione di risposte come questa, sarebbe bene recarsi al ristorante portando da casa un simpatico pensierino non richiesto (la pallina del cane, un soldatino mangiucchiato dai figli, il bottone di un vecchio cappotto…). Va esibito al momento del conto e consegnato sul piattino assieme alle banconote o alla carta di credito, avendo cura di defalcare il costo dell’omaggio.
Che cos’è il coperto, insomma? Cerchiamo una soluzione bussando alla porta del Savini, storica insegna milanese, che probabilmente detiene il record cittadino in questa speciale classifica: 10 euro.
«Noi siamo in Galleria e chiediamo 10 euro», dicono, mascherando il fastidio con tono cortese. «Fossimo una trattoria periferica, basterebbero 2 euro».

Bene. Ma il punto non è questo. Certo, il Savini è un monumento nel monumento. Ma ci pare che abbia già prezzi adeguati: 35/40 euro per una pastasciutta, 45/80 per una portata di carne o di pesce. Scusi: ma a cosa servono quei 10 euro?
«Preferiamo mettere tutte le tariffe singolarmente».

Risposta sibillina. Fingiamo di aver capito e andiamo in cerca di verità più leggibili, girando la domanda a Vittorio Vaccaro, uomo di spettacolo, che ha appena aperto un interessante locale di cucina regionale, Bettola Siciliana (in via Muratori), dove si mangia su piani di rame nudi e crudi: ondulati, acciaccati e gelidi.

«Bè, abbiamo gli spessorini per appoggiare le posate e molti se li portano via. Poi, ci sono i bicchieri di cristallo: e se ne rompono uno?».
Si tratterebbe, quindi, di una copertura assicurativa per furto e cristalli. Ma la perplessità è sempre la stessa: possibile che la Bettola pretenda 3 euro, su un conto già corposo (18/25 euro i primi, 20/25 i secondi)?
Se non riusciamo a sapere cos’è il coperto da chi ce lo infligge, proviamo a chiedere lumi a uno dei pochi che ce lo risparmia. E cioè, Ernesto Notaro volto, mente e braccia de La Taverna degli amici: primi del Sud (12/14 euro) e secondi di carne (sui 20/30). La sua chiosa è anche la nostra: «Sinceramente, io non lo so cos’è. So che a me non va di metterlo. Così i prezzi sono più chiari».

Corriere della sera

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